Critica – Anno 2005

 

"Giuseppe Pesco, un senso della vita e della natura per usare lo spazio come zona di contemplazione"

di Luigina Bortolatto



Tutto inizia con il blot teorizzato da Alexander Cozens a metà del Settecento. La macchia casuale assume vigore negli acquerelli del figlio John Robert che, nei dipinti della campagna romana con ricerca di effetti atmosferici uniti a qualità poetiche ed educative, influenza il mondo dinamico, fantastico e splendente di Turner. Assieme al conterraneo Bonington, Turner soggiorna a Napoli e nel gruppo degli artisti della Scuola di Posillipo induce Giacinto Gigante a iniziare un’interpretazione lirica del paesaggio grazie ad una particolare luminosità dei toni ottenuta con l’uso dell’acquerello.

Premessa inevitabile davanti ai pigmenti colorati, temperati con gomma e solubili nell’acqua che originano le velature, le gradazioni di toni del colore, sgocciolato e seccato senza pentimenti, di Giuseppe Pesco. Tecnica che lo ha incitato ad analizzare la continuità tra segno grafico e colore procedendo per addizione. L’artista non cerca di rappresentare proporzioni, organizzazione, struttura: fa sue le notazioni di Barthes “il segno frammento, la forma totalità”.

Nato a Vittoria, città fondata dalla poetessa Vittoria Colonna, della sua terra ricca di messi e di viti conserva la dissoluzione dell’oggettività naturale sotto la corposità della luce esaltata in vibrazioni colorate. Del suo cielo conserva il colore e lo spazio. Quei cieli immensi dei conterranei Cilia e Guccione sostituiti da un’originale emotività espressiva esaltata dal colore lagunare luminosissimo, si mescolano a interessi per la visione emotiva di Kandinsky, per le ragioni psichiche e plastiche di Chagall, per la fusione tra dettagli reali e astrazioni di Mirò, per i significati dei segni magici e delle zone cromatiche di Klee. Si affida a un automatismo più normale che trasgressivo congiunto alla singolarità e vitalità dei segni.

Anglista per scelta e professione, da studioso, mentre considera la letteratura una disciplina che ha un suo sistema, non trascura il momento strumentale della pagina scritta. I testi letterari e gli acquerelli sono sistemi di relazioni più interessanti dell’essenza degli oggetti. Se come scrittore oggi usa il computer tuttavia testo pittorico e letterario possono coesistere.

Su queste premesse intendo analizzare l’attività artistica di Pesco. Tecnica e immagine si fondono nella sillabazione della sua parola poetica. I suoi paesaggi, vedute o scorci di Venezia, di Treviso, del Sile e altro si fanno incisivi quando a indicarli sono particolari momenti dello scorrere della luce (Notte riflessa, Notte sul mare, Notte). Si tratta di visioni libere e sintetiche dove la composizione è quasi speculare sul filo dell’orizzonte. Le masse (delle case, degli alberi?) si pongono come trait d’union tra cielo e terra illuminate da baluginante luce rossastra. Conflitto esistenziale tra luce e tenebra, tra bene e male?

Una lieve ansietà di origine romantica ma pure di decadentismo letterario si manifesta quando la contemplazione di aspetti suggestivi (La panchina, Baita, Alberi fuori le mura) per rappresentare incanti, si fa attesa di enigmi in un’atmosfera assorta. A volte lo scenario grandioso si unifica. Una spazialità solenne dilaga e trascorre oltre i piani orizzontali per disgregarsi nell’aria di madreperla rosata (Sile verso il mare) o di peltro lumeggiato (Venezia).

Quando le pareti vegetali si specchiano nell’acqua per evidenziarne l’essenza (Nebbia al mattino, Tramonto, Fuori le mura) un fermento di colori, che si mescolano svariando in toni, forniscono la misura dell’autentico respiro poetico dell’autore.

Decorativismo o stilizzazione sensuosa non rientrano nelle esperienze vissute da Pesco, convinto dei loro impliciti limiti. Ogni volta che il ferma immagine lo sollecita (Primavera a Budapest, Delfini, Al mercato) Pesco sfrutta realtà e ricordo in composizioni che hanno connessioni dirette tra forma pittorica e forma naturale. Una voluta ambiguità riflette il tentativo di conciliare la rappresentazione della forma nello spazio con le verità percettive dell’occhio. Figure della pittura più dense si sovrappongono ad uno sfondo tenue e atmosferico. Il contrasto è intensificato con il passaggio da una tavolozza brillante, salmone, mandarino, zafferano ai più smorzati azzurri, gialli e versi, fusi in sottile armonia.

Silenzio tra i monti, Fondali marini, Dentro al mare sono esempi di doti coloristiche di una personalità particolarmente sensibile e capace di innestarsi in ricerche sulla luce e colore fondate su analogie con la musica, tipiche dell’orfismo quando prelude all’astrazione.

Il biancore della neve in Silenzio, Montagne d’inverno, quasi acceso dal bagliore rosaceo ha una schietta evidenza di natura e sentimento. L’incanto di luce fredda dei paesaggi fluviali, quasi uno stupore visto con un’inclinazione malinconica dell’animo, rende con profondo simbolismo l’idea del silenzio.Poiché le immagini di Pesco appartengono anche al linguaggio della comunicazione, nei suoi discorsi l’artista condensa un senso della vita e della natura usando lo spazio come zona di contemplazione.

Quando egli perviene a sfiducia del sensibile e della fedeltà ottica per affidarsi all’interiorità soggettiva, persuaso della vita autonoma delle forme, fa rinascere lo spazio denso del sogno. Il foglio si trasforma, diventa campo in cui i segni acquistano un proprio essere, si riorganizzano, suggeriscono movimenti, fanno testo.



"MOSTRE E ARTISTI TREVIGIANI"

di Fausto Politino




A proposito della mostra di Giuseppe Pesco Luci e Colori a Treviso, è prioritario chiedersi cosa vuol dire ‘leggere’ un’opera quando non è riconducibile al paradigma del figurativo. E certamente non sono figurativi alcuni dei suoi acquerelli: <<Confini, Verso l’ignoto, Comunicabilità>>. Allora: leggere come vedere, discernere, distinguere gli elementi i segni le forme i piani di colore l’intreccio delle linee nell’ambito del quadro. Nello spazio pittorico che stiamo cercando di analizzare non esiste l’immediata identificazione iconica: la neve, l’albero, il rustico, gli scorci di Treviso (i Buranelli, Porta Santi Qua-ranta), che costituiscono buona parte della sua ricerca artistica, dove ci può essere la tentazione del travaso emozionale, connivente il chiarismo tonale, per la condivisione in quel sito urbano o naturale, della stessa vicenda esistenziale. Pesco sembra volersi libe-rare dalla sindrome del raccontare. Non c’è racconto. Ci sono significanti non significati. Vuole presentare. Vuole mostrare solo ed esclusivamente pittura. Credo che l’intenzione, ancora una volta, sia quella di scompaginare il discorso sulla pittura. Andare oltre la sua compagine, oltre il suo tradizionale territorio. E’ sufficiente ricordare Kandinsky quando sostiene che l’ambito dell’arte esclude quello della natura. La prima, non essendo più subordinata alla seconda, può fare a meno della struttura diacronica: il prima e il dopo della narrazione; l’impostazione prospettica nell’opera tradizionale.

Ogni osservatore può tentare la propria interpretazione fondata sulla lettura di percorsi diversi. L’ostentazione cromatica, la ridondanza grafica o la ragnatela geo-metrizzante. Come in Confini, appunto.

Pesco: Luci e Colori, Palazzo Scotti, Treviso. Fino al 20 aprile 2005.



"Acquerelli di Giuseppe Pesco"

di Vittoria Magno



Disegno e colore a formare un insieme di grande armonia. Così gli acquerelli di Giuseppe Pesco, presente fino al 20 aprile 2005 con una personale a Palazzo Scotti. Luminose visioni di una realtà che appare come trasfigurata nella lievità compositiva. Nel paesaggio allargato come nei particolari, nel delicato fulgore di una tavolozza che gioca con le mille sfumature dei verdi, con le macchie e le marcature dei bruni, con la timida prepotenza degli azzurri e con la preziosa varietà dei rosa aranciati. Per descrivere luoghi sempre presenti nella quotidianità e proprio per questo spesso privi di attenzione, ma riscoperti e sublimati dalla sensibilità dell’artista. Insieme a lacerti di memorie che emergono da un ieri ormai lontano, poetici flash che ci aiutano a ricostruire sensazioni e momenti emozionali vissuti o soltanto sognati, “usando lo spazio come zona di contemplazione”.

Il Gazzettino, 20 aprile 2005